sabato 4 luglio 2020

VARESE, CITTA' IN CANCRENA

Crolla, non crolla, avanza la crepa, si ferma. Si fa serpentina, sale scende, si apre si chiude, si dirama, fiorisce. Son due son tre, una ragnatela, il muro si sgretola, aìta aìta tutto vien giù, c'è il rischio di un'altra Albizzate. Ci vorrebbe la penna di Palazzeschi per descrivere la cancrena che sta divorando Varese, un morbo che striscia subdolo e colpisce alla cieca, i muri e i cervelli già duramente provati dal virus. 
Un rudere in via Gasparotto tiene in scacco la città, la colpa è tua no è tua, dovevi acquistarlo no dovevi metterlo tu in sicurezza, il balletto tra comune e privato è degno del Bolshoi, da un lato il proprietario che dice di aver la parola per l'acquisto, dall'altra i burosauri di via Sacco che tutto paralizzano come le Gorgoni, incapaci di prendere la minima decisione non si dice presto con fuoco ma almeno con un andante mosso. 

Il risultato è l'ennesima lite da asilo mariuccia, con la gente imbufalita, le code, il caldo, le mascherine, il Covid che non ritorna anzi sì, le strade chiuse e i cantieri aperti ma fermi, i progetti faraonici a scopo elettorale, i milioni che non ci sono ma di colpo appaiono a dare del dilettante al mago Merlino. 
Agli inizi del '900, Giovanni Bagaini e i suoi amici si misero a un tavolo di caffè, forse il Garibaldi, e decisero di dare a Varese una allure quantomeno nazionale, con grandi alberghi, rete tranviaria, funicolari, ippodromo e teatri. Detto fatto, tre anni e gli alberghi erano in piedi, poco più avanti ecco i tram a coprire il nord della provincia, fino allo sciagurato dopoguerra del cemento e della demenza amministrativa, del trionfo della gomma e della benzina a scapito della rotaia e del viaggiare lento. 
Esisteva, in quel tempo lontano, il sano grano di follia nelle teste dei notabili della città, la voglia di rischiare, di fare per il bene della comunità e non delle proprie tasche, o meglio della propria immagine, la parola era una e non centomila, il fumo era quello dei sigari e non delle promesse e delle fotografie nella prima pagina di cronaca con il sorriso e il proclama lanciato ai quattro venti. 
Si faceva, stop. 
Allora in via Gasparotto avrebbero mandato una gru con la palla d'acciaio e in mezz'ora il rudere sarebbe stato polvere e calcinacci, niente mandrie di burosauri al pascolo, colpa mia colpa tua brutto cattivo, mesi di impasse e di crepe ballerine monitorate dai passanti e non dai tecnici forse fuori stanza, alla macchinetta del caffè o in qualche riunione a parlare degli schemi di Sarri.
Ormai i cantieri varesini non son più buoni nemmeno per i pensionati osservanti, che preferiscono i giardinetti o una briscola al centro commerciale: una demolizioncina qui, un'asfaltatina là, poi tutto si ferma per un mese senza un perché. Son finiti i soldi? Li han già mangiati tutti? 
Un giorno ci sono gli escavatori alla stazione, il giorno dopo paralisi, forse han terminato il gasolio, forse avevano la cena sociale, uno scavetto, un'edicola rasa al suolo e stop, tutto rimane artisticamente sospeso, detriti e tubi contorti in bella vista, forse è un'installazione di Cattelan e non lo sappiamo. 
Certo ai burosauri una vena di sadismo cromatico non manca: ai passanti non garba l'arancione della barriera di plastica davanti al campanile del Bernascone? Mettiamola verde, così meglio si intona con le erbacce che crescono intorno e il vetro delle bottiglie di birra scaraventate alla sanfasò (sempre Cattelan?), gli ambientalisti son contenti e l'impatto visivo è meno drammatico, ma il campanile ha da crollà, non ci son santi, neanche Vittore, prima o poi verrà giù, ma intanto parliamone, indiciamo riunioni e dibattiti, cerchiamo i soldi, diciamo messe propiziatorie. Organizziamo una seduta spiritica, chiamiamo il feldmaresciallo Urban, che forse con qualche altra cannonata lo tira giù dalle spese e amen, se no qui si fa lunga e un calcinaccio alla volta hai voglia. 
Un'aura di mistero aleggia poi intorno alla voragine di piazzale Kennedy. I fondi si sono sbloccati? Roma che dice? Non si sa. Già avere una voragine in città non è mica da tutti, di solito son fenomeni carsici o buchi da terremoto, qui ce n'è una  naturale, bella grossa e ormai vintage, e nel frattempo sia mai che messa bene in sicurezza e con cartelli esplicativi e audio guide diventi un micro polo turistico, poi si può mettere in giro la voce che nelle notti di luna escono fuori i nani di Biancaneve con picconi e secchi e il gioco è fatto, il bilancio ripianato. Magari alla lunga la si potrebbe collegare al Bűs del Remeron del Campo dei Fiori, in un coast to coast magari con i vagoncini Decauville che darebbero quel tono d'antan tanto amato dai radical chic alla Vareselandoftourism. 
Ma la politica non si cura delle voragini, tira dritto e promette, con quali soldi non si sa, ma intanto le parole schioccano e sistemano largo Flaiano e la “casa degli spettri” angolo via Gradisca che davvero quella lì tra un po' viene giù senza dir niente a nessuno con dentro qualche ospite indesiderato, e perfino il ponte sulla ferrovia in via Nino Bixio, in lista d'attesa e di crollo visto come stanno i suoi simili in Italia che al primo cicloncino rendono l'anima a dio. Nel frattempo magari si potrebbe impacchettare il ponte alla Christo con un bel plasticone tipo Caserma Garibaldi con l'effigie di quello di Brooklyn, così il nostro si tiene su di morale e non casca, una botta di autostima sai mai, ha già le spallette reumatiche vista l'età. 
Non me ne voglia Morandini, che ha tutto il diritto di progettare strade bianche e nere, a righe a scacchi a triangoli isosceli, romboidali e trapezoidali, e davanti al suo museo vorrebbe pulizia e ordine, ma il rendering -per gli indigeni la generazione di una scena tridimensionale al computer- della ipotetica via Cairo, con gli alberi sforbiciati a parallelepipedo e la solitudine dei lampioni, la fa somigliare al corridoio di una clinica della Svizzera tedesca, di quelle della buona morte. Di fronte al progetto che dovrebbe cambiar volto alla strada, le piazze degli architetti razionalisti sembrano gli svolazzi di Gaudì sulla Sagrada Familia.


Con ottocentomila euro rifai l'asfaltatura delle strade fino a Parigi,  magari un pezzetto di funicolare e puoi seminare e trebbiare il grano al “Franco Ossola”, ma nelle scatole cinesi del comune i soldi appaiono e scompaiono come d'incanto, un giorno ci sono e il giorno dopo no, per alcuni sì per altri no, ciò che persiste è la certezza del nulla, con la città in cancrena, abbrutita e orfana d'identità, sporca e anonima, ma con la certezza di un grande futuro dietro le spalle, promesso da molte giunte a questa parte. 
Intanto godiamoci la coda sotto il sole al limitare di via Gasparotto e mettiamoci la mascherina in pace, che qui la cosa durerà un bel po', già qualche centinaio di metri più avanti il ponte ferroviario tempo fa aveva scricchiolato, coi temporali i vecchi mattoni magari si spaventano di nuovo e vanno rassicurati con un bel cartello strada interrotta. Se tirano giù il vecchio garage poi ci sono da rimuover le macerie e chi lo fa? Lo fai tu lo faccio io, tocca a te no a te, manca il documento manca la firma il funzionario è assente, si va per avvocati, ci sono le ferie in agosto non c'è in giro un cane, tribunale chiuso, giudice trasferito, magari l'abbattimento ha provocato crepe nella casa limitrofa che chissà di chi è. Arrivano le Belle Arti mettono tutto sotto sequestro e lì son cavoli amari. Per anni. 
Per le giunte da avanspettacolo è pronto il nuovo Politeama, finora però di rendering non se ne sono visti, forse la bruttezza estrema del manufatto ne rende complicatissima la miglioria anche solo virtuale, ma se cade il governo della città e sale l'opposizione il cinema rimane tale, finché crepa non lo consumi, perché non sia mai che i nuovi condividano un palcoscenico con i vecchi, vuoi magari per un vago interesse nei confronti della città e dei suoi esausti contribuenti. 
Già ci son questioni per il rinnovo di piazzale Kennedy, a prescindere dai voti, tanto per litigare, l'art pour l'art, così i promessi grand boulevard della nuova Varese rimarranno strettoie, il Masterplan sarà carta straccia e Giubiano e Belforte non somiglieranno a Dubai. 
Vuoi la piazza nuova senza automobili? E io ti faccio un parcheggio. Ti piace il sottopasso con la street art? Meglio un parchetto con neve artificiale e pista di snowboard. Nel frattempo fermi tutti, deciderà il sindaco prossimo venturo con la sua squadra di sempiterni burosauri. A confronto, i letargici caposezione Altamura e ragionier Terenzi della commedia di Silvano Ambrogi, somigliano alle marionette di Kim Jong-un, rapide come automi e programmate per uccidere ogni cosa che non sia timbro o carta bollata.



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