sabato 18 giugno 2016

La Cronaca vent'anni dopo

La Cronaca vent'anni dopo






Il primo incontro fu su una panchina, come nei migliori film di spionaggio. Giardini Estensi, un mattino di primavera, anno 1996. Massimo, oggi brillante scrittore di noir, mi aveva contattato per parlarmi di una cosa «epocale per Varese», che non si vedeva dai tempi del "Giornale” di Violini, l'unico quotidiano che negli anni aveva tentato di scalzare il predominio de "La Prealpina” ormai secolare.
Massimo arrivò come un cospiratore, già in lui albergava l'anima dell'inventore di commissari e delitti, si sedette e mi parlò di un ragazzo di Luino, un certo Luca, che aveva in testa un'idea meravigliosa (erano i tempi di Cesare Ragazzi). 
«Vuol fare un quotidiano a Varese, che racconti soltanto la città. Tanta cronaca spicciola, ma anche spettacoli e cultura, tempo libero e turismo. Potresti dirigerlo tu».
Ero seduto. Meno male. 
«Guarda che sta già per partire, vuole uscire a giugno, è uno tosto».
«Sì, ma i soldi?»
«Li ha, è in politica e conosce diversi imprenditori».
Allora lavoravo felice e beato a Milano, un bel contratto al Touring Club Italiano per il mensile “Qui Touring”, giravo l'Italia facendo reportage, avevo collaborazioni sparse. Una pacchia, rispetto al nulla di oggi. 
«Come faccio a fidarmi, lasciare Milano per venir qui e fare un giornale in concorrenza alla "Prealpina”? Come Davide contro Golia». 
La passione.
Per il lavoro, e per la mia città, nonostante tutto.
«Se non te la senti di dirigerlo cerchiamo un direttore», mi fa il Massimo, «parlane con Luca».
Luca Sartorio lo vedo ed è già in fermento, ha già trovato la sede, in via Dandolo, un appartamento di due stanze più bagno e corridoio lungo, pensa non solo al quotidiano ma pure a un mensile, con lui c'è una splendida ragazza che cura la grafica. Sono già entusiasmato, come sempre mi capita sul nascere di un'idea. Penso subito al da farsi, e non alle macerie cui vado incontro, lasciando, come mi è capitato millanta volte, il certo per l'incerto, solo per il gusto della sfida. 
In quattro e quattr'otto la redazione è fatta, la grafica de "la Cronaca” la cura una ex di "Repubblica”, romana e fascinosa, ci sono giovani baldanzosi con voglia di sbattersi e qualche flaneur, per le fotografie sento il Carlo Meazza e l'indimenticabile Mario Broggini, che ancora aveva studio alla Madonnina in Prato, due passi o quattro pedalate da lì.
Non faccio il direttore per mia precisa scelta, lo fa Marco Dal Fior, anche lui arrivato da "Repubblica” e dal fallimento della "Voce”, cui anch'io avevo collaborato parecchio senza vedere un soldo (lire, per la precisione). Scrivo e sostituisco il direttore se ha impegni sportivi, «famo notte» due giorni su due, allora non c'erano i computer di oggi, né linee adsl, e trasmettere il giornale a Novara, dove si stampava, era ogni volta un'incognita. Manca una pagina, ne mancano due, dov'è la "prima”? Sacramenti del proto e minacce di blindare le rotative.
Il primo numero uscì il 18 giugno 1996, (qui riproduco l'ultimo "numero zero” prima dell'uscita) era gratuito, poi sarebbe costato 500 lire, “panino” del quotidiano nazionale che i varesini acquistano sempre assieme al locale, e che allora costava 1500 lire. 
Subito un piccolo colpo, inaugurazione di villa Panza come proprietà del Fai, ci sono Giulia Mozzoni Crespi e Walter Veltroni, ed io, “inviato speciale”, riesco a mettere in mano a Veltroni una copia fresca fresca della "Cronaca”. Il Meazza come un falco scatta subito la fotografia, che ovviamente il giorno dopo è in prima pagina. 
Siamo gasatissimi, il giornale va bene, vendiamo, la formula piace, la gente è incuriosita, siamo un tabloid contro il "lenzuolo” della "Prealpina”, ci sono notizie fresche, lo sport fatto da Andrea è indagatore, c'è la pagina dell'arte, ci sono spettacoli e il tempo che fa, editoriali e commenti, il sindaco è Fassa che ogni tanto passa di lì.
La redazione è una bolgia dantesca, Luca va e viene, cerca finanziatori, io parto ogni giorno in bici a fare la staffetta tra via Dandolo e la Madonnina, porto i rullini a Mario Broggini, che a tempo di record sviluppa e stampa, poi riparto a ritirare le fotografie, a volte ancora umide. È il bello della diretta.


Prepariamo un paginone per l'arrivo di Paolo Conte in concerto al Sacro Monte, Francesca sua fan lo intervisterà lassù sotto il diluvio, ma intanto ci facciamo notare. 
Ma, come ci hanno insegnato da bambini, un bel gioco dura poco. Il giornale è di centrosinistra, prodiano, non sia mai che a Varese qualcuno investa in quella direzione, i soldi finiscono (o forse non c'erano mai stati) si fa avanti un finanziatore che però è di un'altra parte politica, così anche "i sinistri” ci voltano le spalle. Lottiamo, io cerco di non pensare a ciò che ho lasciato a Milano e di non maledire Varese per l'ennesima volta, imprecando contro la sua chiusura, il suo perbenismo ipocrita, il clericalismo, la mancanza di fantasia e la sempiterna ossessione per il lavurà e i danée.
Vado a meditare al Lucomagno, è agosto, a settembre si vedrà. 
Si cambia sede, si va nel lusso di piazza XX Settembre, attichetto con vista piazza, il nuovo editore è un costruttore e viene spesso a vedere come vanno le cose, si riunisce con Luca al piano di sopra e sono guai. Le cose vanno male, anzi peggio, anzi non vanno proprio. 
Il socio se ne va, lasciandoci la bella sede, il giornale vende pochissimo e ormai è sputtanato, altra (ennesima) occasione perduta per la città. Scappano direttore e redattori, grafiche e collaboratori, cercano il paracadute e lo trovano. Rimango sulla nave che affonda, perché gli entusiasti sono sempre i più coglioni, nella buona e nella cattiva sorte. Spero ancora che "la Cronaca” possa andare avanti, Luca mi ripropone la direzione, ma non me la sento, in queste condizioni, almeno. Arriva Landi, vecchio viveur del giornalismo, ex-“l'Unità", pianista mancato allievo del magico Vitale a Napoli, viene a casa e mi massacra il pianoforte a furia di Liszt bastonato. La sua battuta migliore: «Vado a piedi, perché non posso permettermi una Jaguar». Cominciamo bene. 
Cambia la testata con un estremo sforzo di fantasia. “la Cronaca” diventa “Le Cronache”, ma il risultato non cambia e le vendite nemmeno. Luca è cadaverico, sta male di pancia e io pure. Il sogno è infranto per sempre, a dicembre Landi cede le armi e sparisce, pure lui. Fine dei giochi. Sono di nuovo a spasso,  «non ci ho il paracadute, non ci ho la mutua», come diceva Gio' Condor. Il tutto è durato giusto sei mesi.
Le passioni si pagano care, ma al di là del lavoro perduto ciò che mi rode è il fallimento di qualcosa che avrebbe potuto funzionare, e bene. I tempi erano giusti, i soldi erano ancora in circolazione, erano mancati l'organizzazione interna al giornale e, ovviamente, i finanziamenti di un'imprenditoria pavida e ultra conservatrice, specchio della città in ogni tempo, attuale compreso se domani non si cambierà aria. 
Mi divertii come mai in alcuno degli altri 40 e passa giornali con cui ho collaborato nella mia lunga attività giornalistica, i primi due mesi furono apocalittici, il caos creativo regnava in via Dandolo, ci si mandava “affa” ogni minuto ma si marciava stantuffando, arrivavano idee a fiumi, cose mai fatte e mai viste a Varese su un foglio stampato, nuove rubriche, un taglio grafico rivoluzionario per la città, la voce a chi non ne aveva mai avuta. 
Avevo 36 anni e credevo alle fate, come del resto a 57 non ho ancora smesso di credere, ero convinto di poter finalmente lavorare e bene nella mia città, che amo e odio nello stesso modo, di fare qualcosa di bello e utile alla gente. Mi sbagliavo, per l'ennesima volta. Però il ricordo del caldo e del sudore in quell'appartamento di via Dandolo, mescolato alle bestemmie del caporedattore, a quello dei computer impallati e delle pagine disegnate ancora a mano, rimarrà indelebile, insieme alla forza propulsiva che dava l'entusiasmo per un'avventura che ci sembrava paragonabile alla nascita del "Corriere”. 
Mi ero messo in gioco, totalmente, come faccio sempre, senza prevedere i rischi e senza pensare alle conseguenze, che furono pesanti e annose, con sterili pellegrinaggi nelle redazioni milanesi in cerca di collaborazioni, ma quell'euforia creativa dell'inizio fu senz'altro pari a ciò che si prova dinnanzi a un amore nascente, a un colpo di fulmine che, come ben sappiamo, lascia di solito soltanto un mucchietto di cenere.
Un mucchietto sono anche tutte le copie de "la Cronaca” che ancora custodisco in un armadio e di certo mi sopravviveranno. Non le ho più sfogliate, oggi ho cercato il primo numero a corredo di questi pensieri, ma non ne ho letto i contenuti. Preferisco conservarli nella memoria, come appunto si fa con le donne che si sono amate. Parecchio.