martedì 24 maggio 2022

Totem e cucù

Un totem è qualcosa a cui ci si lega per la vita, un simbolo di appartenenza, un'entità protettrice, che apporta sicurezza e a volte felicità. Nella piazzetta di via Albuzzi il Totem c'è, sta lì dal 1997, quando la famiglia Tavernari ne fece dono alla comunità, per buon augurio e ricordo di uno scultore che è stato tra i protagonisti del Novecento. Tavernari scelse di vivere a Varese, lavorò qui e a Barasso, la sua casa di via Dandolo diventò sede di incontri preziosi, i figli Carla e Giovanni ne conservano la memoria, il MaGa di Gallarate ha inserito il suo archivio tra quelli da visitare in una manifestazione prossima ventura. 

Ma il Totem dà fastidio, invita a pensare, magari a riflettere oppure, più difficile, ad andarsi a documentare, su internet o, ancora più difficile, su qualche libro o catalogo d'artista. Si deve fare un briciolo di fatica intellettuale, uno sforzino per alzare lo sguardo dallo smartphone, leggere la targa ai piedi del totem e chiedersi, se ancora esiste la curiosità, chi mai sia stato Vittorio Tavernari e perché questa scultura sia stata messa proprio lì, tra un ombrellone e un tavolino da bar, davanti, guarda un po', a una galleria d'arte. 

Si fa prima a vandalizzare, a imbrattare con lo spray, perché l'opera d'arte da sempre crea disagio, perfino paura, perché pone di fronte la nullità intellettuale del verniciatore al mistero della creazione, dell'idea, del potere del gesto. Cose oggi quasi dimenticate, in un mondo in cui la fatica è bandita perché esiste un'applicazione per ogni cosa, basta digitare et voilà, si esce da questo mondo per entrare nel virtuale dove tutto è possibile e tra bene e male non esiste confine. 


Quando accadono questi fatti, in pieno centro storico, un sabato magari nemmeno tanto tardi, uno si domanda dove sia la vigilanza, le telecamere, la tanto decantata sicurezza del cittadino e della cosa pubblica, cose sbandierate dai soliti politici vendifumo, che poi scompaiono quando si tratta di prendere una posizione chiara di condanna verso chi sfregia un'opera d'arte che appartiene a tutti. In realtà, dell'arte e delle opere non importa nulla a nessuno, tantomeno ai politici, in una città senza identità e costrutto, abbandonata a sé stessa, piena di cantieri fermi, simbolo di inutili gigantismi, con negozi vuoti e strade impraticabili, verde pubblico assassinato, scritte ovunque e rifiuti dietro ogni angolo, per tacere di macerie lasciate in bellavista per mesi. 
Non è solo Varese, ma il mondo? Ma noi viviamo qui, e magari potremmo incominciare a invertire la tendenza, partendo dall'educazione in famiglia e nella scuola, insegnando a conoscere e rispettare innanzitutto il lavoro altrui, perché poi il gusto si affina e non tutti possono diventare ammiratori di Tavernari o di Guttuso, o delle opere contemporanee esposte in altre zone cittadine, il senso critico serve a questo. Ma va alimentato quotidianamente, per non far sì che le nuove generazioni siano composte dalle amebe vernicianti del sabato sera. Per costoro non c'è difesa, anche se ci sarà chi parlerà di poveri ragazzi annoiati e frustrati per il lockdown e la pandemia, la carenza di spazi per i giovani e altri alibi che non reggono. I poveri ragazzi sono quelli che portano la pizza a mezzanotte in bicicletta, imbucano i depliant dei supermercati nelle cassette delle lettere o che, dopo aver studiato per anni, si ritrovano nei call center o a fare i commessi. 
Ma che fa la pubblica amministrazione per incentivare la conoscenza di ciò che gli artisti testimoniano con le loro opere, messe a disposizione dei cittadini? Nulla, le abbandona al loro destino, lasciando che intorno al Totem di Tavernari ci siano ombrelloni e tavolini, una fioriera disastrata, nemmeno una zona di rispetto, un cartello informativo che indichi il perché l'opera è lì, chi l'ha fatta, quando, e cosa rappresenta. Non ci vuole un master ad Harvard per organizzare una segnaletica culturale in città, indicando opere e autori, una minima biografia dell'artista, pubblicare una mini guida con fotografie e l'itinerario artistico e distribuirla in tutte le scuole, nelle biblioteche, toh, perfino nelle edicole (oggi rare come il gatto delle sabbie). Ci vuole soltanto buona volontà, attenzione verso la città nel suo dettaglio e desiderio di far conoscere e amare la cultura, cose che la sinistra di una volta possedeva di default e oggi sono sparite, forse inghiottite dalle voragini aperte qua e là per vie e piazze. 
Però è necessario che anche i colti di Varese, escano dalle tane e prendano posizione, abbandonando le solite logiche di parrocchia e gruppettini, e unendosi in un fronte comune contro l'ignoranza debordante e il menefreghismo di certi cucù della politica. Dopo il fatto del Totem, non c'è stato un artista o un intellettuale che sia intervenuto con decisione a condannare il vandalismo o a dire o scrivere qualcosa purchessia. Nessuno che abbia pensato di coordinare un gruppo di persone e redarre un manifesto o un documento per promuovere una rinascita culturale, anche minima, però ciarliera. E questo silenzio è assordante, fa male, ed è quasi peggio del vuoto pneumatico presente nel cervello dei verniciatori.