domenica 29 ottobre 2017

Requiem per il Campo dei Fiori

Il Campo dei Fiori brucia, e in fumo va una parte della giovinezza di ognuno di noi, la memoria di camminate e beata solitudine nel bosco, albe al Forte di Orino per fotografare l'orizzonte, le visite all'orto botanico dell'Osservatorio, il professor Furia che spala la neve assieme ai suoi ragazzi. La volpe sorpresa quando è ancora quasi buio, la cincia dal ciuffo che fa capolino tra gli abeti, lo scoiattolo rosso che corre sui tronchi, gli ultimi narcisi alla Punta Trigonometrica.
La montagna è sfregiata, violentata, mutata per sempre, anche se la Natura al solito cercherà un rimedio alla follia degli uomini, medicando in parte, con il tempo, le ferite inferte dalla cosiddetta modernità, che altro non è che ignoranza, tracotanza, fame di denaro sporco, assenza di valori e ideali. 
Nel 1981 la Consulta delle Associazioni Naturalistiche voluta da Furia, con Lipu, Wwf, Amici della Terra, Legambiente e Italia Nostra, si battè a lungo per raccogliere le firme necessarie a creare il parco del Campo dei Fiori, e difendere così la nostra montagna dalla speculazione, dagli attacchi dei palazzinari e dei tagliaboschi, dei cacciatori e dei vandali. 
Un parco, un'oasi protetta, un'isola di verde e di bellezza rara nel mondo, un luogo caro a ognuno di noi che è nato o vive in questa terra di acque e montagne, il profilo di un amico su cui puoi contare sempre, anche soltanto per smaltire la rabbia con una passeggiata.  O ammirare il colore dei faggi. 





Un giorno di quel lontano 1981 raccogliemmo sotto l'Arco Mera  oltre mille firme in un pomeriggio, la gente era con noi, esisteva ancora una coscienza civica, si poteva condividere un sogno o anche soltanto la sua idea, il Campo dei Fiori meritava di essere protetto come si fa con un capolavoro d'arte, i nostri figli, i frutti della nostre passioni. 
Al Campo dei Fiori ho trascorso i miei vent'anni, ci andavo quasi ogni giorno, a camminare e a censire l'avifauna per conto del Progetto Atlante e della Lipu, a immaginare il mio futuro e a scrivere i miei primi raccontini, con il lapis su un taccuino, sdraiato in mezzo alle peonie selvatiche e alle centauree, con alle spalle il panorama delle montagne svizzere e di fronte i laghi e la dorsale degli Appennini liguri. Percorrevo la strada del Forte di Orino prendendo la scorciatoia finale che alcuni habitué avevano intitolato a “Henri Bodin, acteur”, un loro amico catturato dalle tavole del palcoscenico amatoriale. Là, c'era sempre il Monte Rosa.


Quasi sempre avevo con me la Leica caricata a diapositive, c'era ancora il Kodachrome 25, meraviglioso nelle giornate di vento, nessuna grana e colori fedelissimi al vero. Le ho ancora, quelle fotografie, ora sarebbero adatte da posare su una lapide, quella della ragione, scomparsa assieme al rispetto della cosa pubblica e all'educazione civica, che feci a tempo a imparare a scuola.
Un giorno una "damazza del biscottino” impellicciata chiese a un naturalista - la cosa la riportò Antonio Cederna in un magnifico articolo- a cosa servissero in fondo i castori vivi, ottenendo come risposta: «A niente, come Mozart». Di certo il minus habens che ha appiccato il fuoco al sottobosco del Campo dei Fiori, e ancor peggio un tal Attolini di Busto Arsizio, capace di ironizzare sull'incendio, esseri che cent'anni fa non avrebbero neppure vangato la terra, hanno pensato la stessa cosa, essendo il loro orizzonte mentale limitato alla visione di uno stadio o di un ipermercato, qualche birra e la sala giochi. 
Già, a cosa serve il Campo dei Fiori? Un parco naturale, poi. Serve a costruire un bel centro commerciale, magari pagato dalla 'Ndrangheta o da Cosa Nostra, oppure uno splendido resort per milionari per lavare un po' di soldini sporchi, vetrocemento, plastica, e all'interno le immagini del Campo dei Fiori com'era, con tanto di funicolare e Grand Hotel. Serve a fare scorribande con le moto da cross in barba ai divieti, o a lasciare rifiuti nelle grotte. 
Meglio farlo fuori col fuoco, così arriva un complesso residenziale coi fiocchi, vistalago, a un tiro di schioppo da Malpensa, possibilità di passeggiate in quello che rimane del bosco, che tanto ormai è estate tutto l'anno. Un mondo di plastica per gente di plastica, che non distingue un picchio rosso da un semaforo ma paga bene e subito. È parco regionale? Non fa niente, si trova il modo di costruire "compatibilmente” con l'ambiente circostante, in Italia ungi dove devi e il gioco è fatto. 
Sulla fine da far fare al piromane per conto terzi (o al/ai coglioni che hanno acceso un fuoco con la siccità perdurante) ci siamo sbizzarriti in tanti con la fantasia, dal bruciarlo vivo a scioglierlo nell'acido o darlo in pasto ai maiali (ma non sono cannibali) come faceva Totò u' Curtu ai suoi mal tempi, ma al di là di una vendetta purtroppo virtuale, è l'oggi che fa paura, l'assoluta indifferenza ed estraniazione dalla realtà, perché ormai ogni cosa diventa astratta, come in un videogioco. Brucia la montagna? Al massimo ci si scatta un selfie con la colonna di fumo, lo si posta su Facebook e la vita continua. Domani l'Osservatorio non c'è più? Si fa un bel parcheggio così finalmente si arriva in vetta con la macchina. La faggeta secolare va in cenere? Da lì adesso col binocolo si vede meglio casa nostra. 
A cosa serve il Campo dei Fiori? A niente, come Mozart.