martedì 11 giugno 2019

Badilanti e radical chic

Le dimissioni dell'assessore Roberto Cecchi, già ventilate in un recente passato e poi diventate realtà ieri sera, hanno riportato l'attenzione sulla cultura a Varese, un cadavere che ogni tanto si tenta di riportare in vita, ma ormai già decomposto e di difficile esumazione. Al di là del dispiacere per i guai personali dell'assessore che lo hanno spinto al passo estremo, non si possono evitare alcune considerazioni sul suo operato e sulle reazioni di chi lo ha visto come lo "sprovincializzatore” della città, l'uomo dalle idee rivoluzionarie e globali che avrebbe dato a Varese una allure da capitale. Cecchi è stato un uomo di parte, non ha nascosto la sua adesione al Pd, e di parte e/o immediati dintorni sono stati sempre gli artisti e i personaggi da lui invitati nelle due edizioni di "Nature Urbane”, conoscenze personali, scambi politici o elettorali, come succede da decenni in Italia e nel mondo. Chi non era "di quella parte lì” o non gliene fregava niente di destra, sinistra, centro, alto e basso, non è stato nemmeno preso in considerazione. Decido io e stop. Può essere una via, magari non per raggiungere popolarità e simpatia, che già l'assessore di suo certo non ispirava. Ora, leggo che il consigliere Crugnola, toccato dal forfait assessoriale, ha dichiarato che Cecchi è stato «osteggiato fin dal principio da una schiera di invidiosi, iracondi, superbi, golosi, eterni aspiranti frustrati e badilanti che da Bizzozzero non sono mai discesi a Lozza per gettare uno sguardo sul mondo». Questi personaggi, di cui credo di far parte, assieme ad altri validi artisti, musicisti, letterati, poeti, galleristi, fotografi, non hanno mai avuto l'onore di una convocazione cecchiana, né l'assessore si è peritato di conoscere il vissuto, l'attività passata e presente, le capacità individuali di chi, magari nell'ombra, ma con professionalità e talento non inferiore ai “chiamati” nelle ville e negli isolini, cerca di esprimersi da anni in una città sordomuta e priva di una qualsivoglia identità anche minima, presente magari proprio a Bizzozzero o a Lozza (personalmente mi spingo anche fino a Castiglione Olona). Ora sarebbe troppo facile rispondere a Crugnola: «Badilante sarai tu», mi limito a definire lui e Cecchi superbi radical chic, esempi preclari di una sinistra ingolfata e parolaia, spocchiosa e di assoluta autoreferenzialità, che dalla torre d'avorio (a Varese, forse di plastica) distribuisce panem et circenses secondo ideologia. Si è mai visto l'assessore a un concerto? Mai. Si è mai visto a un vernissage in una qualsivoglia galleria? Mai. Si è mai visto a una presentazione di libri o a un reading poetico? Mai. Si è mai visto mangiare un gelato seduto a un tavolino? Mai. Parliamo naturalmente di cose esulanti da quelle architettate a palazzo. Il suo distacco dalla realtà cittadina è stato lo stesso che ha contraddistinto la sinistra di governo di questi ultimi anni rispetto al Paese reale, cosa che l'ha condannata all'oblio. E lo scrive uno che in passato ci aveva creduto, a valori come solidarietà, condivisione, rispetto per altre idee e ideologie, secondo il motto voltairiano. Ora non più, e perciò plaudo alle dimissioni di Cecchi, lacrimando perché la sinistra non riesca più a partorire almeno un Nicolini, e Varese un Caminiti. 

lunedì 8 aprile 2019

IL CICLISTA CULMOLLATO

Già da qualche giorno l'Ansa aveva battuto la notizia: esperti del circuito infernale della Parigi-Roubaix, noto nel mondo per i terrificanti tratti in pavé, sono arrivati a Varese per studiare una nuova classicissima del ciclismo, da disputare in città e negli immediati dintorni su strade che i tecnici transalpini hanno definito étonnantes, per la smisurata quantità di buche, tagli mal riparati, avvallamenti, crepe, gobbe di asfalto, visibili soltanto -hanno aggiunto- in qualche cratere lunare o in remoti recessi del deserto del Gobi. 
Con loro sono presenti alcuni tecnici delle maggiori case produttrici di biciclette nel mondo per testare un nuovo tipo di ruota, ispirata alla Linea di Cavandoli, capace di modificarsi all'impatto con buche di venti centimetri di profondità, quali quelle presenti per esempio in via Maspero, una delle strade prescelte dai francesi per la gara e citata in letteratura come esempio per i giovani archeologi ai primi scavi. 
Intanto una équipe di medici proctologi, scelti tra i luminari del pianeta per le malattie del pavimento pelvico, sta studiando un rivoluzionario impianto di molle da inserire direttamente nelle natiche del ciclista urbano varesino, per preservarlo dal rischio che il tubo del telaio, perforando la sella per l'impatto con le buche, possa impalarlo, portando d'improvviso uno spicchio di vecchio impero Ottomano ai piedi delle Prealpi. 

Prototipo di ciclista urbano varesino

Il ciclista culmollato dovrebbe, negli intenti degli studiosi, assorbire perfettamente i traumi causati dalle crepe più profonde dell'asfalto, presenti ovunque nelle strade cittadine e, grazie a un'app scaricabile nel cellulare e collegata alle molle, le natiche segnalerebbero in tempo reale al cervello le maledette strisce di tre-quattro centimetri di profondità, capaci di catafottere qualsiasi normale pedalatore, che la fottutissima -ma meravigliosa per il progetto della nuova ruota- fibra ottica sta lasciando dappertutto con scavi scellerati. 
Grazie a questa rivoluzionaria connessione, si cancellerebbe per sempre il detto spregiativo «ragioni col culo», un passo avanti gigantesco per la scienza e per i molti ragionanti appunto con il fondoschiena, di solito abbondanti nelle amministrazioni, nei governi et similia, che di colpo si sottoporrebbero all'intervento culmollogico per creare alibi perfetti alle loro nefandezze. Anche la leggendaria esclamazione del grande Luison Ganna, stremato sul traguardo del primo Giro d'Italia: «Ma brüsa tanto el cüü», sarebbe di colpo riletta dai semiologi alla luce delle nuove scoperte tecnologiche, e il campione verrebbe visto come un precursore della comunicazione interfacciata tra i due poli, ormai egualmente intelligenti, del corpo umano.
Dopo un primo sopralluogo, i progettisti francesi si sono detti meravigliati di come, per esempio, la via Crosa, che scende verso il centro dalla villa Panza, sia stata riparata a tempo di record dopo i tagli provocati dallo scavo per la fibra, mentre le strade meno nobili conservano le cicatrici di anni di buche, rappezzature corrose e strisce color mattone gramotolose come uno strudel mal riuscito.  Meglio illuminare la facciata di Palazzo con 400 mila euro di spesa piuttosto che asfaltare, noblesse oblige, naturalmente. Ma una bella discesa a rotta di collo verso Biumo inferiore, con il rischio del serpente fibrotico, avrebbe consentito un lancio in grande stile del nuovo percorso ciclistico, della rivoluzionaria ruota trasformabile e delle ricerche sulle molle culanti, al netto della perdita di qualche pullman di cinesi in visita al museo. 
Abbiamo qui la prima dichiarazione di un volontario che si è sottoposto all'impianto delle molle, percorrendo poi il tragitto da Giubiano a Masnago, rimbalzando come l'uomo sulla Luna ma rimanendo saldo in bicicletta: «È una cagata pazzesca». Forse però, la connessione tra testa e culo va ancora perfezionata. 

mercoledì 3 aprile 2019

Bentornato Sommaruga! 
Un altro colpo dei Giovani del Fai

Le mie incursioni all'interno del Grand Hotel Campo dei Fiori risalgono alla giovinezza, quando salivo la montagna per fare passeggiate o birdwatching, non dimenticando di soffermarmi sotto l'arco dell'ingresso principale a provare l'acustica, in quel punto davvero straordinaria. Allora feci amicizia con la custode della famiglia Moneta, proprietaria dell'albergo, che mi fece entrare a visitare il visitabile, ma rimasi colpito dalle stanze, ancora con letti e mobili, coperte e lenzuola, e dalla camera reale, con gli stucchi di ispirazione settecentesca, le dorature e la ricca tappezzeria. A distanza di tanti anni, posso rivelare un piccolo segreto: la signora mi fece omaggio di qualche disco 78 giri rinvenuto in una stanza, iniziavo allora la mia raccolta e non mi sembrava vero di avere in dono un paio di Caruso e un Tamagno! In anni più recenti scattai diverse fotografie agli interni praticabili, la stanza reale era ancora dignitosa e anche la boiserie della sala del bigliardo, con una magnifica specchiera in cui le mie modelle si divertivano a truccarsi alla poca luce che filtrava dalle persiane. Dopo l'apertura nel 2017, voluta dai Giovani del Fai a mezzo secolo di distanza dalla chiusura definitiva dell'albergo, grazie alla liberalità della nuova proprietà, ebbi una giornata intera a disposizione per realizzare un servizio fotografico con gli abiti del mio amico sarto Stefano Farè e quattro indossatrici. Ci divertimmo come matti, soprattutto nelle vecchie cucine dell'albergo, misteriose e cadenti, illuminate dalle grandi finestre rotonde progettate dal leggendario Sommaruga. 


L'ingresso dall'interno
Questa mattina sono ritornato al Grand Hotel, ancora una volta grazie ai fantastici Giovani del Fai, guidati dalla bravissima e preparatissima Giulia Pozzi, perché il genio del grande architetto è di nuovo pronto a farci strabiliare con la bellezza delle sue creazioni. Grazie alla convenzione con la proprietà, l'albergo sarà di nuovo visitabile, a partire da sabato e domenica prossimi, fino a ottobre, con varie date in maggio, giugno e luglio, quindi, dopo lo stop agostano, tra settembre e ottobre. 

Giulia Pozzi
È un grande regalo alla città, e anche un invito a riflettere sul futuro di uno dei più importanti edifici liberty della Lombardia, per troppi anni lasciato in totale abbandono e depredato di mobili e oggetti d'arredamento. La "cittadella” art nouveau di Campo dei Fiori comprende anche il Ristorante Panoramico e la stazione della funicolare, e la sua riscossa potrebbe partire proprio da lì, dalla ristrutturazione del meraviglioso edificio sommarughiano dal quale si gode un panorama unico e di incomparabile bellezza, e dal secondo tratto della funicolare. Sarebbe un passo importante per poi pensare all'albergo e alla sua destinazione d'uso, come centro congressi, campus universitario o quant'altro, ma per far sì che possa rivivere è fondamentale che il comune si dia finalmente una mossa e capisca una buona volta che il turismo sano e pulito, senza gas di scarico e litigate per il parcheggio, passa attraverso la riapertura totale della funicolare, volano per altre iniziative virtuose per la nostra montagna, bene insostituibile e polmone verde ancora resistente in questi anni di terribili cambiamenti climatici. 

Ingresso principale
La visita di stamattina è stata emozionante, perché i ragazzi Fai, dopo aver svegliato la città con l'apertura della Torre Civica, sono riusciti a far riaprire sale mai viste e angoli dove Luca Guadagnino ha girato il remake di "Suspiria”, e recuperato oggetti d'uso quotidiano come utensili da cucina, forchette e coltelli, qualche mobiletto, un letto, un tavolino, delle sedie e perfino un lenzuolo con ricamato il monogramma dell'albergo. 

Nelle vecchie cucine...
L'anima del Grand Hotel è ancora presente, qua e là con un lampadario Liberty, una boiserie ancora intatta, il centralino telefonico, il tavolino della reception, le carte di carico e scarico merci, gli stucchi e i ferri battuti, alcuni forse del celebre Alessandro Mazzucotelli, la magnifica scala pentagonale che dava accesso alle camere. 

La  sala bigliardo utilizzata per alcune scene di "Suspiria”
Ogni volta che entro al Grand Hotel mi sembra di non essere mai uscito, di averci vissuto in qualche vita precedente, e immagino l'ingresso con le vetture alla porta, le rombanti Alfa Romeo 1750 che sfrecciavano nel viale d'ingresso, traguardo della Varese-Campo dei Fiori, i tè danzanti nel salone con l'orchestrina sul balconcino, le chaise longue sul terrazzo con la vista incomparabile del lago e delle montagne, come la immortalò il fotografo Alfredo Morbelli.


Lo scatto di Alfredo Morbelli

Specchio di una Varese piccola capitale del turismo, con la sfida (vinta) di portare un milanese in vetta al Campo dei Fiori in un'ora e mezza, partenza da Milano Cadorna, tram e funicolare, tutto perfettamente collegato e sincronizzato. Oggi per andare a Milano con il treno, fatti salvi rotture e guasti sulla linea all'ordine del giorno, occorre più di un'ora, e se pensiamo che il Grand Hotel fu costruito in un anno e mezzo, capiamo come ormai la nostra decadenza sia senza fine e la spaventosa burocrazia italica freni ogni iniziativa, assieme alla complicanza di ogni minima azione. Per questo i giovani del Fai devono ricevere un grazie da tutti i cittadini, per la loro voglia di fare e soprattutto per il desiderio di portare a conoscenza di tutti le nostre bellezze che, anche se sciupate, sono l'unico patrimonio spendibile che ci resta. 

Ieri...


E oggi...


























giovedì 28 febbraio 2019

REQUIEM PER UN'EDICOLA

L'edicola delle stazioni morirà domani all'alba, privata di colpo delle linfa che per oltre mezzo secolo l'ha fatta vivere: la carta stampata. È un paradosso, non certo l'ultimo di questo mondo rovesciato e ridicolo, ma davvero i clienti che da anni incontravano il sorriso di Anna e Augusto ora troveranno le scansie vuote, o meglio piene di oggetti assolutamente inutili e futili, specchio del consumismo più vieto. Bamboline, portachiavi, cappellini, bibite, caramelle e cioccolato (ottimo da consumare con i 36 gradi prossimi venturi) tutto quanto fa superficie e orrore, ma i giornali no, quelli ormai appartengono a un passato di lettori che va sepolto, assieme al nostro mestiere di giornalisti, ostaggio del marketing e delle logiche commerciali che hanno ridotto i redattori a commessi di negozio. 
Trionfa la crociata per il libero Chupa Chups, tanto ormai i giornali chi li legge, solo i pensionati che hanno tempo da perdere, quindi largo ai peluche cinesi, alle gomme da masticare, ai supereroi di plastica e altra monnezza del genere, destinata alle discariche autorizzate e no in un nano secondo. 
La logica del profitto purchessia sacrifica la fedeltà di clienti affezionati che ogni mattina scambiavano due parole con gli edicolanti in nome della banalità che unisce, il tempo, l'Italia che va a fondo, il degrado urbano, la Champions League. C'era ancora un barlume di rapporto umano, e poi l'emozione sempre nuova di vedere i titoli dei quotidiani, di chiedere se l'arretrato era arrivato, di scoprire una nuova testata e acquistarne una copia per curiosità di sapere. 
Non c'è nulla dietro al peluche cinese, soltanto una sterile cupidigia, il desiderio bacato dell'originalità a tutti i costi, un'operazione degna del dottor Frankenstein, con un'edicola che non è più tale, ma resiste come scheletro pieno di mostriciattoli inutili che però, a parere dei nuovi proprietari, sostengono l'economia. 
Le edicole-emporio esistono da tempo, in Italia come altrove, gli stessi Anna e Augusto avevano licenza di vendere caramelle e affini, ma la materia prima, ovvero i giornali, sono ancora lì in bella mostra, assieme a bibite, snack, souvenir e altri barlafusi, ma un chiosco per giornali senza giornali non si era ancora visto, e Varese per queste meraviglie è sempre capitale. Puntiamo adesso a prenderci un gelato in tintoria e un mazzo di asparagi in farmacia, che tanto Camilleri o Wilbur Smith lo mettiamo già nel carrello del supermercato assieme al Dash e alla Pasta del Capitano. 
Cultura di consumo, ma del resto la buona metà dei romanzi oggi è prefabbricata, cucita su misura sui borderò delle vendite, costruita sulle indagini di mercato e sui gusti dei lettori, che vogliono storie di pronta beva, con morti e commissari e un po' di mélo proprio come si vede in tv. I poveri giornali, ormai snaturati e impacchettati come scatole di cioccolatini, non hanno futuro e ormai neppure presente, perché ormai tutto viaggia in superficie, non c'è più tempo per l'approfondimento di qualsivoglia notizia o interesse, una scorsa allo smartphone e via, siamo tutti Montanelli o Piero Angela. 
Questa edicola fantasma somiglierà ai tanti, troppi negozi fantasma del centro città, vetrine del nulla  apparecchiato con luci e colori, monitor e musichette da psicopatici, a mascherare il vuoto ormai pneumatico dei cervelli, omologati e globalizzati. Ma questi marchi dell'inutile sono gli unici a poter pagare gli affitti da strozzini dei locali del centro, altrimenti l'alternativa è la chiusura, il degrado assoluto, come dimostra per esempio il portico di corso Moro dove un tempo c'erano l'agenzia Maccapani e la pasticceria Pirola, oltre a Pianezzola e a un lussuoso negozio di calzature. E la conseguente assenza di contatto umano tra acquirente e venditore, rimasto ormai soltanto al mercato delle stazioni in qualche raro banco non cinese o africano, o a quello degli agricoltori il giovedì in piazza Giovine Italia, la sana chiacchiera che fa sentire ancora parte di una società viva e non popolata di zombie tecnologici. 


QUANDO L'EDICOLA VENDEVA GIORNALI - Anna e Augusto, per mezzo secolo sul ponte della stazione Nord.
La città è ormai agonizzante, senza identità, ma è solo l'esempio di una civiltà arrivata al capolinea, in cui ogni cosa, dalla coscienza alla bottiglia di plastica fino alle persone, si usa e si butta, senza nemmeno farci una riflessione, l'importante è che ci sia un profitto, il resto è cacca di cane, che siano anni di lavoro, passioni, clienti guadagnati giorno dopo giorno con sudore e sacrificio, albe a scaricare pacchi di quotidiani e magari a litigare col distributore per i ritardi. 
Oggi nessuno vuol fare fatica, e allora avanti con il peluche cinese e il Chupa Chups, venduto senza una parola, come acquistare un pacchetto di sigarette o i preservativi dalla macchinetta. Dammi i soldi e scappa. È la stessa umanità rapace che non si preoccupa dell'estate a febbraio, dello scioglimento dei ghiacci, dell'estinzione di decine di specie animali e vegetali, della deforestazione, della morte di bambini per fame e stenti, delle guerre e delle deportazioni, business is business, okay? Del resto lo abbiamo voluto noi, snaturando le città e la campagna, riempiendo l'orizzonte di ipermercati, rinunciando a chinarci sulla terra e a sentirne il profumo. Giusto che all'avanzata dei peluche non ci sia più nemmeno un avamposto a contrastarla.