giovedì 28 febbraio 2019

REQUIEM PER UN'EDICOLA

L'edicola delle stazioni morirà domani all'alba, privata di colpo delle linfa che per oltre mezzo secolo l'ha fatta vivere: la carta stampata. È un paradosso, non certo l'ultimo di questo mondo rovesciato e ridicolo, ma davvero i clienti che da anni incontravano il sorriso di Anna e Augusto ora troveranno le scansie vuote, o meglio piene di oggetti assolutamente inutili e futili, specchio del consumismo più vieto. Bamboline, portachiavi, cappellini, bibite, caramelle e cioccolato (ottimo da consumare con i 36 gradi prossimi venturi) tutto quanto fa superficie e orrore, ma i giornali no, quelli ormai appartengono a un passato di lettori che va sepolto, assieme al nostro mestiere di giornalisti, ostaggio del marketing e delle logiche commerciali che hanno ridotto i redattori a commessi di negozio. 
Trionfa la crociata per il libero Chupa Chups, tanto ormai i giornali chi li legge, solo i pensionati che hanno tempo da perdere, quindi largo ai peluche cinesi, alle gomme da masticare, ai supereroi di plastica e altra monnezza del genere, destinata alle discariche autorizzate e no in un nano secondo. 
La logica del profitto purchessia sacrifica la fedeltà di clienti affezionati che ogni mattina scambiavano due parole con gli edicolanti in nome della banalità che unisce, il tempo, l'Italia che va a fondo, il degrado urbano, la Champions League. C'era ancora un barlume di rapporto umano, e poi l'emozione sempre nuova di vedere i titoli dei quotidiani, di chiedere se l'arretrato era arrivato, di scoprire una nuova testata e acquistarne una copia per curiosità di sapere. 
Non c'è nulla dietro al peluche cinese, soltanto una sterile cupidigia, il desiderio bacato dell'originalità a tutti i costi, un'operazione degna del dottor Frankenstein, con un'edicola che non è più tale, ma resiste come scheletro pieno di mostriciattoli inutili che però, a parere dei nuovi proprietari, sostengono l'economia. 
Le edicole-emporio esistono da tempo, in Italia come altrove, gli stessi Anna e Augusto avevano licenza di vendere caramelle e affini, ma la materia prima, ovvero i giornali, sono ancora lì in bella mostra, assieme a bibite, snack, souvenir e altri barlafusi, ma un chiosco per giornali senza giornali non si era ancora visto, e Varese per queste meraviglie è sempre capitale. Puntiamo adesso a prenderci un gelato in tintoria e un mazzo di asparagi in farmacia, che tanto Camilleri o Wilbur Smith lo mettiamo già nel carrello del supermercato assieme al Dash e alla Pasta del Capitano. 
Cultura di consumo, ma del resto la buona metà dei romanzi oggi è prefabbricata, cucita su misura sui borderò delle vendite, costruita sulle indagini di mercato e sui gusti dei lettori, che vogliono storie di pronta beva, con morti e commissari e un po' di mélo proprio come si vede in tv. I poveri giornali, ormai snaturati e impacchettati come scatole di cioccolatini, non hanno futuro e ormai neppure presente, perché ormai tutto viaggia in superficie, non c'è più tempo per l'approfondimento di qualsivoglia notizia o interesse, una scorsa allo smartphone e via, siamo tutti Montanelli o Piero Angela. 
Questa edicola fantasma somiglierà ai tanti, troppi negozi fantasma del centro città, vetrine del nulla  apparecchiato con luci e colori, monitor e musichette da psicopatici, a mascherare il vuoto ormai pneumatico dei cervelli, omologati e globalizzati. Ma questi marchi dell'inutile sono gli unici a poter pagare gli affitti da strozzini dei locali del centro, altrimenti l'alternativa è la chiusura, il degrado assoluto, come dimostra per esempio il portico di corso Moro dove un tempo c'erano l'agenzia Maccapani e la pasticceria Pirola, oltre a Pianezzola e a un lussuoso negozio di calzature. E la conseguente assenza di contatto umano tra acquirente e venditore, rimasto ormai soltanto al mercato delle stazioni in qualche raro banco non cinese o africano, o a quello degli agricoltori il giovedì in piazza Giovine Italia, la sana chiacchiera che fa sentire ancora parte di una società viva e non popolata di zombie tecnologici. 


QUANDO L'EDICOLA VENDEVA GIORNALI - Anna e Augusto, per mezzo secolo sul ponte della stazione Nord.
La città è ormai agonizzante, senza identità, ma è solo l'esempio di una civiltà arrivata al capolinea, in cui ogni cosa, dalla coscienza alla bottiglia di plastica fino alle persone, si usa e si butta, senza nemmeno farci una riflessione, l'importante è che ci sia un profitto, il resto è cacca di cane, che siano anni di lavoro, passioni, clienti guadagnati giorno dopo giorno con sudore e sacrificio, albe a scaricare pacchi di quotidiani e magari a litigare col distributore per i ritardi. 
Oggi nessuno vuol fare fatica, e allora avanti con il peluche cinese e il Chupa Chups, venduto senza una parola, come acquistare un pacchetto di sigarette o i preservativi dalla macchinetta. Dammi i soldi e scappa. È la stessa umanità rapace che non si preoccupa dell'estate a febbraio, dello scioglimento dei ghiacci, dell'estinzione di decine di specie animali e vegetali, della deforestazione, della morte di bambini per fame e stenti, delle guerre e delle deportazioni, business is business, okay? Del resto lo abbiamo voluto noi, snaturando le città e la campagna, riempiendo l'orizzonte di ipermercati, rinunciando a chinarci sulla terra e a sentirne il profumo. Giusto che all'avanzata dei peluche non ci sia più nemmeno un avamposto a contrastarla.