sabato 30 dicembre 2017

SASSOLINI


La fine d'anno porta di solito la voglia di scaricare pesi e tristezze per incominciare il nuovo leggeri e sorridenti, nei limiti che impone la modernità. Ecco che nei giorni scorsi capitano sulla schiena, già gravata dalla gerla di sassetti e mattoncini, due belle pietrone, a dimostrare come ogni attribuzione di valore sia oggi sovvertita e preda del caso più che della ragione degli uomini. 
La prima notizia ci riporta in anni di plastica, con la felicità venduta in busta (sottobanco), le città “da bere”, i cattosocialisti imperanti con tutte le loro nefandezze palesi e nascoste. Un signore che all'epoca faceva il sindaco ciellino è passato a miglior vita, e in questo caso il silenzio sarebbe stato il miglior compagno di strada per accompagnarlo alla porta di un personaggio che, se esistente, lo giudicherebbe secondo la legge spedendolo difilato a casa di Belzebù. 
L'individuo in questione, fu condannato a 5 anni e 3 mesi dai giudici delle varesine “mani pulite”, per varie marachelle all'epoca normali per ogni politico che si rispetti, ma i media locali, ne hanno commentato la scomparsa con titoli a scatola, definendolo un gigante, un esempio e via di questo passo (falso). Quando costui sedeva a Palazzo Estense, la sua longa manus faceva altrettanto alla palazzina della Cultura e tentò di corrompermi, offrendomi la possibilità di fare mostre, redigere testi per programmi di sala di concerti e altro purché non scrivessi nelle pagine del quotidiano con cui allora collaboravo del clamoroso infortunio occorso all'orchestra che lui aveva chiamato a esibirsi all'ultima Cappella del Sacro Monte. I musicisti arrivarono in pompa, si sedettero pronti a incominciare, ma si accorsero di aver dimenticato gli spartiti all'hotel Palace dove alloggiavano da giorni a spese della comunità. Ero presente, e distanza di tanti anni ricordo ancora la “staffetta” della polizia che andava e veniva dal Colle Campigli con le fotocopie delle parti, con il pubblico tra il furibondo e il divertito seduto da oltre un'ora ad aspettare. Grottesco italiano. Naturalmente scrissi tutto e firmai con nome e cognome come faccio sempre, dopo un lungo braccio di ferro con il direttore di allora, che alla fine pubblicò il pezzo ma mi cacciò il giorno dopo.
Questi erano i “grandi” del tempo, i "giganti”, come hanno titolato senza vergogna colleghi dalla memoria corta o volutamente cancellata, in realtà gente senza scrupoli che ha saputo riciclarsi a meraviglia nel sottobosco della politica e della burocrazia locale.  Con il sorriso da cobra sulle labbra. Perché, appunto, non essendoci più valori se non quelli monetari, se ne è perso il ricordo, quindi chi infrange la legge lo fa per il bene comune (oltre che per il suo conto all'estero) e quindi ha diritto a postuma gloria, incenso e peana. Tanto il buon Gesù perdona a tutti.
Seconda notizia, la morte del cuoco Marchesi, per carità, degna persona, ma pur sempre uno che ha passato la vita tra spinaci, risotti, bolliti e cotechini. Appassionato di musica, memore di Verdi che volle la Casa di Riposo per musicisti, avrebbe desiderato fondarne una per cuochi anziani, iniziativa lodevole che gli fa onore. Ma anche in questo caso, non è morto Einstein, il Re Sole o Beethoven, ma un bravo artigiano che qualsiasi “resgiora” emiliana si sarebbe messo nel taschino del grembiule. Anche qui paginate di encomi, memoirs, “io l'ho conosciuto”, quella volta che degustai il risotto con la foglia d'oro, il fondatore della cucina italiana, il rivoluzionario delle pignatte, il padre dei Cracchi, il Maestro. Ma allora come dovremmo chiamare Michelangelo, o Leonardo? In Italia il “mangia che ti passa” è ormai un dogma.
Ultimo sassolino da levare dalla scarpa, la chiusura più volte annunciata, de “La Provincia di Varese”, giornale per il quale ho collaborato la bellezza di dieci anni (cosa per me inaudita) facendo di tutto e mancando soltanto la pulizia dei cessi e la piegatura a mano delle copie. Nel 2016, dopo aver urtato la suscettibilità del capo pizzardone per questioni extra giornalistiche, sono stato cacciato con ignominia, senza possibilità di appello. Dovrei condolermi per la chiusura? No. La sequenza di errori nella gestione di quella che avrebbe potuto essere un'arma formidabile per contrastare il solo quotidiano locale esistente non ammette assoluzione. Certo, non stappo lo champagne (anche perché preferisco un buon grignolino) ma un po' di sottile piacere, anche per la condivisione del viver gramo, lo provo nell'immaginare colleghi abituati allo stipendio (può darsi però non corrisposto) a mutua e pensione futura dover da domani lottare per arrivare, come me a quasi 60 anni, non a fine mese ma a fine giornata, pagati 10 euro lordi a pezzo quando va bene, il giorno del poi e il mese del mai. Non raggiungere, come è capitato al sottoscritto nel 2017, i mille euro di “guadagno” annuo con il proprio lavoro, dopo 39 passati a scrivere per oltre 40 testate nazionali ed estere. Questa è la vita del freelance, in Italia considerato meno di una cacca di cane, ma anche di chi ha sempre detto e scritto ciò che pensa e per scelta ha deciso di rimanere fuori dalle redazioni e dalle inevitabili pastette cittadine. Con tutte le conseguenze del caso. 
Adesso il peso nella gerla è un poco più lieve, così auguro a tutti un leggendario 2018! 




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