giovedì 28 gennaio 2016

Viaggio nella desolazione

VOLTORRE - Giornata grigia, giusta per ripassare i luoghi del "Bigio” Conconi, lo scapigliato che agli inizi del '900 abitò il Chiostro di Voltorre per starsene in santa pace lontano dai sussulti milanesi e dipingere la quiete del lago. Lo andava a trovare Carlo Linati in qualche suo vagabondaggio fuori porta, a piedi o in bicicletta, e il barbuto pittore, tra una pennellata a un quadro con rospi e pipistrelli e la raccolta della frutta nel cortile (ci aveva piantato meli e peri) la raccontava su, dicendo di come gli mettevano i bastoni tra le ruote, perché lui il chiostro l'avrebbe voluto comperare e viverci con la famiglia. E probabilmente il suo spirito sta ancora lì, caparbio e sognatore, a far capire a tutti che il chiostrino è ancora suo e nessuno ci può metter piede senza il suo consenso. 
Oggi il capolavoro del romanico è di fatto un non luogo, uno straordinario monumento lasciato a sé stesso, senza una tutela, senza un programma che contempli un suo utilizzo come sede di mostre, concerti, convegni e tutto ciò che di bello si potrebbe organizzare in una sede di così unico splendore. Irrimediabilmente chiuso, con un candido foglio A4 con logo della Provincia di Varese, imbustato in plastica e appiccicato con lo scotch sulle porte d'ingresso che avverte di fantasmatiche aperture (opening time, per le migliaia di turisti stranieri certamente in coda, ma siamo o non siamo Land of tourism?) venerdì, sabato e festivi, dalle 9 alle 18, a che fare non si sa, a che vedere non si immagina, monta soltanto la curiosità di arrivarci di venerdì e spiare se e chi comparirà all'ingresso a dare il benvenuto.
L'ultima traccia di vita e di attività risale all'ottobre 2015, quando i moldavi erano alle porte, nel senso che sulla porta di legno dell'ingresso dalla Sp 1 resiste una locandina, appiccicata pure questa con lo scotch, che illustra la mostra fotografica di tale Alecu Renita, dal titolo "Moldova, elogio alla natura”. Seguono patrocini vari ed eventuali simili alle decorazioni di un generale e come queste totalmente inutili. Probabilmente una delle infinite propaggini di Expo, pagata dai contribuenti e visitata da parenti e amici di Alecu Renita. 
La porta mostra decine di buchi di puntine, resti di precedenti grida incollate alla meno peggio, nastro adesivo andato a male, mentre il portone di ferro dell'ingresso principale porta ancora impressi in negativo, come tristissime sindoni del tempo passato, le notizie delle mostre e perfino qualche traccia di immagine buona per i Ris. Lo scorso mese di maggio capitai lì per scattare qualche fotografia, e almeno allora il portone ferrigno mostrò un alito di vita: «Fate pena», c'era scritto su un anonimo foglietto color sabbia, ovviamente appiccicato con lo scotch, vero pilastro fondante della cultura italiana e collante di ogni nostra nefandezza. A quel tempo gli orari erano altri e non c'era la finesse della traduzione inglese: da martedì a domenica, dalle 10 alle 12,30 e dalle 14 alle 18. Era sabato, ma non si vedeva anima creata. 

Giro intorno al Chiostro e la desolazione è ancora maggiore, una solitaria colomba staziona sulla croce in cima al torrione, sul retro resti non ben identificati di un ufficio, scaffali pronti per la discarica abbandonati contro il muro. Silenzio e rabbia, al pensiero delle trecento persone che visitarono la mostra sulla Scapigliatura milanese, la sera dell'inaugurazione avvenuta ormai quindici anni fa, con il Barbapedana di Nanni Svampa a dare la nota di gaiezza e meraviglia. 
Infinita tristezza e nostalgia, al pensiero di Severino Gazzelloni e Alirio Diaz ospiti tra i molti delle leggendarie stagioni di concerti degli anni Settanta (organizzate assieme a splendide mostre dall'allora sindaco Oldrini), flauto (d'oro) e chitarra capaci di stregare il pubblico seduto nel porticato, con le rondini che come per magia tacevano appena la musica incominciava. 
«Hinn scapaa tucc», dice un abitante della grande corte, «ghin pü danée da babbà sa ved», ma oltre ai soldi, che ci sono sempre per i soliti noti, a mancare totalmente sono le idee e la capacità di gestire un bene pubblico, affidato come quasi sempre accade a orecchianti, amici di questo o quel politico, frequentatori di salotti e giuste inaugurazioni di negozi trendy, senza preparazione alcuna e ancor meno progetti validi. 
La decadenza ultima del Chiostro di Voltorre almeno ci risparmia il ridicolo provincialismo espresso fino all'estate dal sito internet (per fortuna scomparso come i suoi fondatori, perfetti sodali dei conoscitori per sentito dire del "Chiosco” di Voltorre dove probabilmente si spacciavano panini e cocacola), con i Friends of the Cloister (testuale) che promettevano «promozione e valorizzazione culturale e turistica del complesso monumentale e mostre di respiro internazionale». Come quella di Alecu Renita, inaugurata il 13 e chiusa una settimana dopo, ma ancora presente in effigie sulla porticina di legno come memento mori della cultura provinciale. 
In Paesi meno cialtroni del nostro, in cui anche un pezzo di muro Romano conta su una guida turistica e su dettagliati opuscoletti informativi, un bene come il Chiostro di Voltorre, a pochi metri dalla pista ciclabile e da uno dei punti panoramici più belli dell'intero lago di Varese, sarebbe fonte di lavoro e ricchezza, visitato quotidianamente e sede di ogni possibile iniziativa culturale, per non dire evento. 
Chissà come se la ride il Bigio Conconi dall'aldilà, il suo chiostrino è deserto, nessuno glielo tocca più, in passato qualche imbecille aveva dato ordine di distruggere i nidi delle rondini sotto il porticato perché sporcavano le pietre del camminamento, ma ora su queste pietre gli aedi dell'happy hour hanno versato olio, vino e chissà cos'altro, macchiandole di vergogna. Questa è l'Italia bellezza, che si vergogna dei propri beni nascondendoli alla vista per paura che il barbariccia iraniano ci tolga le commesse energetiche e una nuova grande mangiatoia per banche e politica, o li chiude alla visita in attesa dell'opening time friday saturday holidays… 
Ma ci faccia il piacere, ci faccia.

















Lasciate ogni speranza… ma di entrare

Un tempo c'era un torrente

Quel che rimane del vecchio lavatoio

Arte contemporanea

La curva della tristezza

Sbirciando dalla cancellata

La solitudine della colomba

Signori si chiude

Pronti per la discarica

Proviamo di venerdì...

Deserto per due

Una volta qui passeggiava Luigi Conconi

Porte chiuse anche in chiesa

Riprova sarai più fortunato

2 commenti:

  1. Ciao Mario, grazie per il tuo bell'articolo, e che tristezza!! Me li ricordo "i bei tempi" del chiostro, ricordo la tua bella mostra sul chiostro. Ne ero uscita con un'elegante borsa in cartoncino piena di libri e cataloghi sulla mostra che mi avevano regalato. Ero contenta come una bambina a cui avessero regalato un grande lecca-lecca all'uscita del Luna Park!! E poi tante belle mostre godute nel chiostro, con il piacere di camminare li' dentro, avvolti da un continuo vibrante chiaroscuro architettonico. Ricordo la serata magica d'estate nel chiostro con il Living Theatre. Mi sentivo emozionata e fortunata!!
    Sognavo un giorno di esporre anch'io al chiostro, adesso sogno che almeno lo riaprano come si deve!! Grazie e ciao Mario!
    Roberta

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  2. La tua bella mostra sulla Scapigliatura, (errore)

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