domenica 3 gennaio 2016

Il sabato andavamo in via Medaglie d'Oro

Il sabato andavamo in via Medaglie d'Oro


L'ultimo disco che acquistai un lontano sabato pomeriggio in via Medaglie d'Oro fu l'edizione Philips del "Flauto Magico” diretto da sir Colin Davis. Era il 27 aprile 1985 (ho sempre datato i miei acquisti a futura memoria) e da nemmeno un mese facevo parte della leggendaria redazione di “Airone”, la più bella rivista italiana di quegli anni, pubblicata da Giorgio Mondadori, sede a Milano 2, il che voleva dire treno metropolitana e pullman avanti  indré dalle sei del mattino alle dieci abbondanti di sera.
Ma mi sembrava di volare, e con l'idea del primo stipendio che sarebbe arrivato di lì a poco (900mila lire nette, oggi quasi un cifrone) mi portai avanti con Mozart, perché naturalmente il giorno in cui avessi trovato casa a Milano mi sarei comperato uno stereo e scelto una bella selezione di dischi, naturalmente in vinile perché trent'anni fa il cd muoveva i primi passi e ancora non convinceva del tutto gli audiofili.
In via Medaglie d'Oro c'era un piccolo paradiso per sognatori e specialisti, la Casa Del Disco, la signora Teresa si agitava frenetica dietro il bancone, non perdeva un'ordinazione, dava suggerimenti, rispondeva al telefono, tirava fuori i dischi dagli scatoloni degli ultimi arrivi, potevi chiederle qualsiasi cosa e lei ti rispondeva meglio di Wikipedia.
Abituato com'ero a incisioni storiche dei Furtwaengler, Walter, Mengelberg, lettore patologico di "Musica” e delle recensioni di Elvio Giudici, arricciavo un po' il naso al "Flauto magico” diretto da un inglese, ma la signora Teresa mi rassicurò: «Se non le piace lo può cambiare senza problema, però l'edizione ha vinto un Grand Prix du Disque, la ascolti».
Il cofanetto blu notte (in omaggio alla Regina..) è ancora nello scaffale della mia discoteca, Colin Davis non mi deluse, quello che l'inquilina della Casa Del Disco diceva era vangelo, dal jazz al pop, dal country al tango, dalla lirica alla disco. In quegli anni ero arrivato lì prima dal negozio Ricordi di corso Roma, a cui devo il mio primo Vivaldi comperato a sedici anni e il sorriso di una splendida ragazza che ne sapeva parecchio, e poi da via Indipendenza, sede del Discobolo di Pisani, dove avevo acquistato diversi lp con i soldi guadagnati come aiuto addetto stampa della Provincia, sostituto del vecchio Andrea Stinco ai consigli interminabili e alle riunioni di giunta, e con le 25 lire a riga della "Prealpina”, ovviamente recensioni di concerti in giro per il Varesotto.
La domenica andavo a Masnago in curva a tifare per il Varese di Fascetti, e lo speaker prima di annunciare le formazioni non mancava di ricordare «il Discobolo di Pisani» insieme ai «lampadari Frigo Nereo», così incominciai a frequentare il negozio di dischi, facendo impazzire il commesso con richieste tipo la "Musica funebre” di Henry Purcell o le incisioni pirata della Rococo di Sergiu Celibidache, allora vendute soltanto dal mitico Cometta di Lugano a prezzi da Bucherer di via Nassa. O dal vecchio Carù, seduto come un imperatore davanti a scaffali stracolmi di dischi, ma a Gallarate faticavo ad andare, anche se ero certo di trovare rarità tipo gli antelucani Cetra-Soria di lirica spessi come fondi di bottiglia.
Alla fine le facevo arrivare a qualcosa meno dal Setticlavio di Firenze, negozio raffinatissimo e ancora granducale, ma dai tempi dell'università curiosavo anche dalla signora Majno in via Fara a Milano, dove sapevo che Elvio Giudici si riforniva. Per me era una patente di nobiltà acquistare un disco lì, la Majno conosceva i direttori e i cantanti della Scala, aveva il negozio pieno di fotografie autografate, Abbado, Muti, Domingo, Freni, Ghiaurov, da lei passava Paolo Grassi, e poi adesso ero "milanese”, ci sarei potuto andare quasi quando volevo. Paola era gentilissima, mi aveva preso in simpatia, non capitava tutti i giorni un ventenne brufoloso che sapeva tutto di Arthur Nikisch o aveva registrato in cassetta  (mille lire tre, da Biotti in via Orrigoni) l'opera omnia di Beethoven alzandosi alle sei del mattino per beccare la Bagatella rara alla filodiffusione.
Ma a Varese non c'era che la Casa Del Disco e il suo reparto classica, con il sabato pomeriggio di pellegrinaggio e discussione, perché in piazza Podestà c'era più spazio, si ascoltava in cuffia, si leggevano i cataloghi e valutavano le offerte, capitava l'integrale dei Quartetti di Mozart con l'inarrivabile Quartetto Italiano a prezzo stracciato, qualche Odissey d'importazione, gli Angel dal vinile di qualità sopraffina (suonano ancora meravigliosamente) e poi nel giro di pochi giorni potevi avere quasi tutto ciò che desideravi. La signora Teresa mi procurò i rarissimi cd di tango di un'interminabile collana, senza l'ausilio di internet, Ibs e compagnia, le tesserine verdi (qui c'è riprodotta l'ultima, purtroppo incompleta) si riempivano di timbri e alla fine arrivava un cd in omaggio, una festa nella festa. I sacchetti di plastica da bianchi con scritta nera diventarono verdi rimpicciolendosi al formato compact disc, ma nel fondo qualche cassetto dovrei conservarne ancora qualcuno di quelli king size, dove il 33 giri scivolava comodamente scodinzolando per il corso fino a casa.
Finiti gli anni milanesi, chiuso Cometta, sparito il vinile, rimase il sabato alla Casa Del Disco, ma presto anche Gege e Teresa mollarono il colpo, ma la classica poteva ancora contare su Rita, poche parole e competenza sicura, anche se con l'avvento di ebay e Ibs le visite per forza si diradavano, complici i prezzi più bassi e la scelta infinita anche dei fuori catalogo.
Non molto tempo fa in piazza del Podestà ho acquistato l'integrale delle registrazioni berlinesi di Celibidache (a volte ritornano) e la paradisiaca esecuzione dell'Oratorio di Natale di Bach da parte dei Barocchisti diretti da Diego Fasolis. Ora pellegrinerò per l'ultima volta alla Casa Del Disco, anche solo per salire la scala che porta al reparto classica e gettare un'occhiata nei cassettoni (una volta lucchettati) dove c'era il bendiddio. Ormai sono fuori dal tempo, il negozio sopravviveva grazie alla musica dei giovani, agli ospiti e al passaparola, la classica era una nicchia ma pur sempre l'angolo dei sogni, dove in cuffia pregustavo l'ascolto che avrei fatto poi a casa, sull'impianto conosciuto a memoria e capace di portarmi, oggi come allora, in un mondo fantastico, popolato dai miei eroi musicali, che mi par di conoscere di persona e vedere al lavoro, chini sul pentagramma.
La chiusura di una libreria o di un negozio di dischi è una sconfitta per tutti, un ulteriore segno di imbarbarimento e di implosione sociale, perché nessun ascolto su spotify potrà ripagare quello in cuffia, in piedi davanti al lettore cd con il booklet da sfogliare e l'amico che ti dice «vai sulla traccia 3, senti l'Andante…». Alla Casa Del Disco si poteva.

MC






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