INCONTRO CON ANDREA KERBAKER ALLA KASA DEI LIBRI
MILANO – Il primo libro non si scorda mai, ma quello che
Johannes Gensfleisch zur Laden zum Gutenberg s’inventò nel 1455, una Bibbia di
1282 pagine, è di sconcertante bruttezza, pieno di caratteri gotici fittissimi,
una “colata di piombo” che oggi vale diversi milioni di euro e rappresenta una
delle svolte epocali dell’umanità.
Del tipografo di Magonza, inventore della stampa a caratteri
mobili, prima orafo e poi editore in proprio, fallito dopo aver faticosamente
terminato le 180 copie della Bibbia, racconta con divertita partecipazione
Andrea Kerbaker nella sua ultima fatica letteraria, “Breve storia del libro (a
modo mio)” (Ponte alle Grazie, pp. 268, euro 16,80) colmo di aneddoti e
riferimenti trasversali a scrittori, editori, censori, bibliofili e altri matti
che fanno del collezionismo una religione.
Kerbaker, cinquantatreenne milanese, porta con disinvoltura
i suoi oltre 25 mila volumi, acquistati in circa trentasei anni di
pellegrinaggi in scantinati di librerie antiquarie, bancarelle, fiere di
Senigallia, garage di ville al mare, in parte depositati nella Kasa dei Libri
(la k sta ovviamente per l’iniziale del cognome) di largo De Benedetti 4 a
Milano, un luogo multifunzionale, che serve da deposito, biblioteca,
laboratorio di studio e atelier per mostre e spettacoli.
Qui ogni cosa riporta all’oggetto libro e alla sua funzione,
scrivanie, quadri, bibelot, perfino il pavimento, che sotto la plastica
trasparente mostra pagine di romanzi, copertine di riviste, oppure manifesti di
film naturalmente tratti da libri. Alle pareti del bagno sono appesi,
incorniciati come quadri d’autore, i sacchetti delle librerie di mezzo mondo,
mentre una figuretta seduta sul wc legge imperturbabile, protagonista della
piccola scultura in ferro realizzata dall’“Altra faccia del bullone”, nome in
ditta di un artigiano amico di Kerbaker.
Il quale si diverte come un matto nel descrivere i tre piani
della Kasa, con sale e salette dedicate a questi o quegli autori, collane o
editori, ai ritrovamenti fortunosi (e fortunati) di settecentine, bodoniane e
aldine, che il Nostro non predilige in assoluto, ma non lascia certo alle mani
rapaci di un concorrente.
«Sono un novecentista, ma come si fa a non prenderli? In
questa stanza ho raccolto tra l’altro le più importanti edizioni del Foscolo e
del Monti, la prima francese de “I miserabili” di Victor Hugo, trovata a Roma
da un libraio antiquario che pensava fosse un falso, molti libri impressi
nell’officina di Bodoni, due rari volumetti di Giulio Uberti, poeta e patriota
nelle Cinque Giornate. Parecchi non sono in ottime condizioni, ma non amo le
cose perfette, lascio i segni del tempo, il vissuto della carta», spiega Andrea
Kerbaker, premio Bagutta nel 1996 con l’opera prima “Fotogrammi”, prefata da
Nelo Risi, titolare dello Studio Immaginazioni, che organizza eventi culturali
e, da dieci anni, insegnante a contratto in Cattolica di Istituzioni e
politiche culturali.
Di suo ne acquista circa 500 l’anno, i libri gli arrivano
anche dagli amici, ma molte sono state le acquisizioni importanti, tra cui i
duemila volumi della biblioteca privata di Cesare Musatti «per un milione e
duecentomila lire alla fiera di Senigallia», lo scatolone ricolmo di inediti e
carte di Piero Bigongiari, il Fondo Renzo Modesti «libri presi a cinque euro
l’uno», la quasi completa raccolta degli Scheiwiller, gli splendidi librini di
Pulcinoelefante, e la strepitosa raccolta di “dedicati”, oltre tremila, con
autografi di quasi tutti gli scrittori del Novecento, non soltanto italiani.
«Trovo che la decadenza dell’Italia, l’ignoranza globale,
siano dovuti in gran parte all’assenza del libro dalla vita civile. Penso al
capitolo del mio libro su Manuzio e Bodoni, due geni dell’editoria, espressione
del talento artigiano del nostro Paese, una ricchezza che oggi difendiamo con i
denti ma per fortuna ancora esiste».
Sfogliando le pagine dell’ultimo nato, si comprende come
Kerbaker, che non abbandona mai uno stile ironico e leggiadro, faccia un tifo
da ultrà per il libro di carta, pur non disconoscendo la funzione dell’e-book
«che troverà una sua precisa collocazione ma non ucciderà il suo antenato» e
collochi la parola scritta come centrale nella vita di ogni giorno.
«Oggi siamo sommersi da migliaia di libri inutili, c’è un
eccesso d’informazione e il lettore medio fatica a rintracciare il buono. Non
sono d’accordo con il magico mondo dell’autopubblicazione, fucina di milioni di
pagine inutili e dannose, né con quello dei best seller, che nel 90 per cento
dei casi premia le scritture più triviali e televisive», scrive l’autore. E
conclude: «nel piccolo mondo del libro, seguire la strada maestra
significherebbe questo: saper scegliere sempre meglio, per poter proporre
poche, limitate strade, che aiutino l’uomo in questo suo difficile cammino che
è la condizione umana. Il resto sono chiacchiere».
Andrea Kerbaker alla Kasa dei Libri |
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