Immagino di trovarlo
seduto al tavolino, la schiena un po’ curvata, la sagoma imponente non segnata
dal tempo, gli occhiali a lenti libere ad accentuare lo sguardo limpido e
fondo. Con la Vespa mi sembra di attraversare il tunnel del tempo, mentre
scendo da Boarezzo verso Marzio, tra i faggi fitti e leggiadri investiti dal
sole pungente d’agosto. C’è un silenzio quasi assoluto, non incrocio altri
viaggiatori e procedo con lentezza, perché attimi così sono sempre più rari e
vanno impressi nella memoria con ferma sicurezza, perché il ricordo poi rimanga
vivido e colorato e ci aiuti a vivere nei giorni infermi, colmati soltanto
dall’angoscia e dal frastuono.
Ci vado quasi ogni
estate, perché ho bisogno di incontrarlo come s’incontra un maestro, o più
semplicemente un uomo che ha vissuto più di me, in un tempo diverso e più
lento, se pure in vigorosa trasformazione. Un uomo che ha tratto sempre
felicità dalla passione, ha saputo costruire un tempio alla bellezza e alla
musica e ora può abbandonarsi alla pienezza dei ricordi, e insegnare come si
ama, non importa se una persona o ciò che essa ha lasciato, con la sua voce o
il suo pensiero, più semplicemente con l’ingegno.
Di certo è là, a
quest’ora legge il giornale fumando una delle tante pipe del giorno, sono le
quattro del pomeriggio e il “Corriere” è già quasi terminato, come
l’immancabile pisolino, c’è spazio per le parole, sempre misurate e pescate
dalla valigia degli anni a costruire un mondo fatato ed esclusivo, patrimonio
soltanto di fortunati che in quello reale respirano a fatica, congestionati dai
miasmi dell’arroganza e del cattivo gusto, dell’ignoranza e di un’inarrestabile
superfetazione tecnologica.
Scendo verso il centro
del paese, l’aria è fine. Un tempo a Marzio si andava in colonia estiva, a
respirare ossigeno e a far ginnastica nell’abetaia, l’unico albergo ha ancora
l’insegna scritta sul muro, i cancelli delle ville mostrano antichi ferri
battuti dalle volute complicate. Anche qui arrivò l’arte nuova, ma in un modo quasi
sommesso, nascosta dai giardini e dalle persiane chiuse, portata dai ricchi
villeggianti che conoscevano il mondo e ne ricopiavano gli strani geroglifici
Liberty per uso personale e privatissimo.
Nel percorrere a passo
d’uomo il vialetto sterrato verso la casa dove il Signore delle Macchine
Parlanti fa villeggiatura, ho l’improvvisa sensazione come di un “finis
Austriae”, di visitare con Joseph Roth la Cripta dei Cappuccini, ascoltare la
musica di Mahler mentre Klimt accarezza il suo gatto e Karl Kraus siede al
caffè lanciando uno dei suoi velenosi aforismi. Mi muovo in una pellicola dei
Lumière, un po’ sfocata ma rapinosa, lascio alle spalle un mondo che non
riconosco per entrare nel mio, quello idealizzato e costruito soltanto
attraverso i libri e gli spartiti, i dischi e le affiche, per me più reale del
vero, palpitante e sensuale.
Marco Contini a Marzio |
Marco Contini siede come
mi aspettavo davanti all’ingresso di casa, mi dà le spalle e si accorge dello
scoppiettio del motore della Vespa, si volta rimanendo per un attimo sorpreso.
Non mi conosce in quella veste, ma basta un saluto perché subito con la mano mi
inviti a raggiungerlo traversando il piccolo prato verdissimo che fa da tappeto
alla perfetta geometria della palazzina, un tempo dépendance dell’imponente
villa Jugendstil posta su un motto poco distante.
È lui il custode del
tempio, un signore con i baffi ora più corti e candidi, segnati dal biondo del
tabacco, testimone di valori antichi e raffinati passatempi, quando il
collezionare era l’arte del conoscere, dell’indagare a fondo nel proprio animo
specchiandosi in quello degli autori più amati e ricercati, incanalando i
rivoli infiniti di nomi, situazioni, amicizie, non soltanto per il proprio
piacere ma per salvare quella proiezione di sé dall’oblio, assieme al contesto
che l’ha generata.
Con lui rivive ogni
volta una Milano dimenticata e lontana, quella del lavoro artigianale e del
grande commercio, della borghesia ricca e attenta alle arti, della Scala di
Toscanini e della Callas, del Cova e del Savini, del Piccolo di Grassi e
Strehler, delle chiacchiere del dopo spettacolo, di raffinati intenditori di
voci conservate in disco fin dal morire del secolo decimonono, gelosi di tesori
svelati soltanto ai pari loro, i Vegeto i Bauer i Celletti i Gualerzi i
Crestetto i Selvini i Contini.
Nella casa di Marco, a
Città Studi, sono stipati circa 500 grammofoni, con pezzi sconosciuti a molti
musei, centomila dischi, tra 78, 33 e 45 giri, raccolte complete di libretti
d’opera, cataloghi di case discografiche, fotografie autografate dei più
celebri artisti, centinaia di migliaia di puntine e biografie di ogni cantante
e musicista che si rispetti. Un monumento sonoro le cui fondamenta risalgono
alla fine degli anni ’50, quando «i dischi te li tiravan dietro» e i grammofoni
li trovavi a decine per poche migliaia di lire.
Un disco è raro per chi
lo considera tale, magari perché lo ha ascoltato da bambino e poi perduto, ma
la collezione di Marco Contini è unica al mondo, frutto di mezzo secolo di
inesauste ricerche in Europa e negli Stati Uniti assieme alla moglie americana
Eva, guidate da un fiuto infallibile e da una giusta percentuale di fortuna.
Lui fu il primo, oltre mezzo secolo fa, a importare in Italia i mobili dei
maggiori designer del Nordeuropa, da Arne Jacobsen a Johnny Sorensen, ingrandendo
e migliorando l’attività di famiglia incominciata dai cugini Selvini e
proseguita dal padre, e segue tuttora assieme al figlio David (l’altro,
Claudio, è tenore e vive in Croazia) il negozio di via Poerio a Milano, ma
appena può compulsa cataloghi di dischi, riordina la mastodontica discoteca o
progetta nuove edizioni in cd con le voci storiche scovate nel suo sterminato
data base.
Marco Contini con la sua Dunhill |
A ottant’anni compiuti,
Marco fuma beato la sua Dunhill caricata col tabacco Black Mallory e racconta
come nei film, gli spezzoni di ricordi cuciti con un filo invisibile. «I primi
dischi russi arrivarono a Vienna via Praga, allora c’era la cortina di ferro,
non trapelava niente, ma il mercante con cui ero in contatto in Austria sapeva
come importarli. Mi diceva in francese: “Li prenda sono di molto valore e più
ne avranno in futuro”. C’erano Ershov, Nicolaj Figner e la moglie Medea Mei,
Sobinov, incisioni dei primi anni del ‘900. I russi continuarono a produrre 78
giri fino agli anni Settanta, li stampavano su vinile di ottima qualità».
Marco che trova i primi
dischi alla fiera di Sinigaglia, Marco che acquista collezioni complete, come
quelle di Raffaele Vegeto, di Knud Egemon Krone e di Otto Müller «che mi regalò
due album di strumentali senza dar loro importanza ma dentro c’erano tre dischi
del leggendario pianista Raoul Pugno, tra le maggiori rarità esistenti».
Il vecchio signore
custode del mio mondo ha un’ultima meraviglia da mostrarmi, si alza e va a
prendere le bozze di un libro, il monumentale lavoro sulla storia della Casa
Pathé, interamente scritta con i pezzi della sua raccolta, decine di modelli di
grammofono, locandine, manifesti, dischi e cilindri di cera. Di colpo divento
Alice poi Pinocchio, e in quel Paese dei Balocchi di carta perdo il senso del
tempo e dello spazio, ogni pagina parla di volontà e di passione, ingegno e
bellezza, perfino di felicità.
«Tu se' lo mio maestro e'l mio autore...» |
È tempo di ritornare,
salutare la Parigi folle di bellezza e divertimenti che d’improvviso s’era
materializzata davanti ai miei occhi, e dire arrivederci all’antica cortesia di
Marco, ai suoi racconti parte di una compiuta civiltà fatta di fiducia,
educazione, genialità e rispetto, un patrimonio di conoscenza che andrebbe
conservato e divulgato a consolazione di un pianeta devastato dall’ignoranza e
dall’abulia intellettuale.
Come Maigret, di cui
potrebbe essere l’incarnazione, indagava nell’animo di colpevoli e innocenti,
il grande collezionista ha trascorso più di mezzo secolo a scrutare nel mistero
delle voci, a ricostruire pezzetto per pezzetto la storia dell’interpretazione
musicale, incontrando chi come lui vuole conservare il tempo e consumarne un
poco alla volta, alla velocità di 78 giri al minuto.
leggerti è sempre un piacere
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