venerdì 6 giugno 2014

La quiete prima della tempesta


Il Viale delle Cappelle alle 5,30 di questa mattina. Il canto del merlo e del fringuello, del verzellino e del verdone, la risata del picchio verde accompagnano nella salita me e un'amica violoncellista. Ci fermiamo  a fotografare e la pace è così assoluta e alta che ci viene difficile parlare. È forse l'ultimo mattino con una temperatura pacifica, prima dell'invasione del maledetto caldo tropicale, e ce la godiamo, cercando le inquadrature migliori per scattare, respirando il profumo del sambuco fiorito.
Qualche raro runner ci saluta, lo spirito è in pace e l'umore migliora, si sente la presenza di un'entità superiore che guidò l'uomo nella costruzione di questo capolavoro architettonico.
Lontano è il caos della città, fatto di chiacchiere inutili, corse nel nulla, false promesse, furti e rapine legalizzati, rumore e telefoni petulanti. Qui la natura si fa ancora sentire con suoni colori e profumi, ogni muro ogni colonna ha qualcosa da raccontare, e sono storie vere, non farlocche come quelle che siamo ormai abituati ad ascoltare urbi et orbi. Visto da qui, l'assurdo progetto del parcheggio alla Prima Cappella appare ancor più demenziale, frutto di mentalità malate e speculatrici, incapaci di pensare a un mondo più lento e governato dall'uomo e non dalle macchine. Pazzi da catena, che uccidono lo scopo primo che portò Padre Aguggiari a progettare la meraviglia che il mondo ci invidia, quello della comunione tra ragione e spirito, tra il corpo umano e quello della Natura e, per chi crede, del dialogo diretto con la divinità. L'unica "esplosione" che vorremmo sentire è quella provocata dal becco del grande picchio nero che batte sui tronchi secolari dei castagni, non quella di esperimenti tecnologici voluti da grandi faccendieri più o meno occulti.
Sul prato dell'ultima Cappella, l'amica ha suonato la Suite in sol maggiore per violoncello di Johann Sebastian Bach, baciata dal primo sole del mattino. Una signora è venuta da noi dicendo: «Questa è la musica di Dio». Nessuna macchina potrà mai riprodurre la nostra emozione.










domenica 1 giugno 2014

Latitanti


Giovedì sera da Ghiggini, Andrea Kerbaker ha svelato ogni più recondito segreto del libro e della sua storia, con la leggera ironia che lo contraddistingue e la vastissima cultura acquisita in anni di letture. Possiede oltre 25 mila volumi, ha fondato a Milano la Kasa dei Libri e pubblicato diversi saggi di colta divulgazione.
Totale l'assenza dei giornalisti varesini, che hanno perso l'occasione di intervistare uno degli intellettuali più acuti (e tra i pochi rimasti) del nostro disastrato Paese, ma anche dei maître à penser locali o presunti tali, che si squagliano come neve al sole alla sola idea di un possibile confronto, preferendo non varcare il confine del proprio orticello culturale.
Varese, "Die tote Stadt”.

Sonno eterno



Gian Carlo Passeroni, chi era costui? Un poeta satirico del Settecento, nato a Nizza nel 1713 e morto a Milano nel 1803. Studi dai Barnabiti e dai Gesuiti a Brera, sacerdote e poi precettore a Milano in casa Lucini. Amico del Parini, entrò a far parte dell'Accademia dei Trasformati e tra il 1755 e il 1774 pubblicò il vasto poema "Il Cicerone”, da cui è tratta la poesia che leggiamo.
Oggi non resta neppure il "languido baleno” dell'“antica virtude”, e le "bell'arti” nessuno più le richiama perché l'ingegno ormai si è perduto per sempre. Restano, e tanti, "i denari malamente spesi” e sistemati nelle ampie saccocce dei politici di turno.